«Sotto gli occhi della morte»: Aldo Pantozzi da via Resia all’orrore in Austria
Il primo febbraio del 1945 un treno merci partiva da Bolzano diretto in
Germania, al campo di lavoro e sterminio di Mauthausen (l’Austria era
stata annessa al Reich sette anni prima e veniva definita riduttivamente
“Ostmarke”). Nei carri, centinaia di detenuti prelevati dal Lager di
via Resia. E tra questi un giovane di 25 anni, Aldo Pantozzi. Originario
con la sua famiglia di Avezzano (L’Aquila) aveva seguito gli
spostamenti del padre ferroviere fino ad approdare a Bolzano. Scoppia la
guerra, cadono su Bolzano le prime bombe (24 bombardamenti, 240 morti
tra i soli civili) e la famiglia si trasferisce per sicurezza a
Cavalese, dove Pantozzi entra nelle fila della Resistenza. Viene
arrestato dalla Gestapo il 30 novembre 1944, finisce nel Lager di
Bolzano (matricola 8.078) e da qui parte – senza conoscere ovviamente la
destinazione – per Mauthausen. Aldo Pantozzi tuttavia riuscirà a
tornare a casa ed affiderà i suoi ricordi ad un libro che intitolò
“Sotto gli occhi della morte”, che fu in assoluto il primo volume edito
in Italia sul tema delle persecuzioni naziste (gennaio 1946) e che
apparve anche a Norimberga nello storico processo ai gerarchi nazisti,
conclusosi con 12 condanne a morte ed altre all’ergastolo. Aldo Pantozzi
nel suo diario ricorda efferatezze e torture con sereno distacco, senza
farsi tentare da odio e sentimenti di vendetta. Racconta il lento
trasporto in treno – quattro giorni senza acqua e cibo – fino a
Mauthausen, ed è della partenza da Bolzano che voglio qui raccontare,
per un sua singolarità incredibile: il treno fu seguito nel suo lento
spostarsi fino al Brennero dal padre, capostazione a Bolzano, il quale
sapeva che tra le centinaia di poveretti accalcati nei carri merci
diretti in Germania, vi fosse anche suo figlio. Ecco la prosa di Aldo
Pantozzi: “Il treno si mosse che era già buio e presto si fermò alla
stazione di Bolzano, all’altezza – calcolai – dello scalo merci. Pregai i
compagni di fare silenzio assoluto nella speranza di sentire una voce
dall’esterno che mi chiamasse: quella di mio padre, capostazione, che
avevo potuto avvertire della partenza attraverso la clandestina via
postale del campo, ed infatti, come pensavo, egli era corso a chiamarmi,
iniziando dal primo vagone, ma poco mancò che pagasse cara la disperata
audacia, in quanto fu allontanato da un aguzzino che lo minacciò col
mitra spianato. Così ritornò – mi raccontò – disfatto nel suo ufficio a
dirigere la corsa del treno fino al Brennero, di quel treno che, con
tanti italiani, portava suo figlio alla morte. Fu questa la mia
particolare tragedia della prima parte del viaggio fino al Brennero.
Pensare che quel treno maledetto era allacciato, attraverso un filo
lunghissimo, all’orecchio di mio padre che ad ogni stazione comandava:
«Nulla osta partenza treno X, ore Y… ricevuto fine!» O nel tuo cuore,
caro papà, quella parola non risuonava come fine del tuo dispaccio di
servizio, ma come una condanna fatale! … E quella parola a me nota,
‘fine’, mi risuonava col suono della voce paterna ad ogni partenza dalle
varie stazioni: «Cardano…fine!» «Prato Tires…fine!» «Campodazzo…fine!»…
«Fine! Fine! Fine!», mentre la mitraglia, dalle garitte del treno,
cantava il suo accompagnamento di morte (le sentinelle sparavano alla
cieca nel buio, per allontanare eventuali aggressori, ndr). Intanto
Carrè – al quale ero vicino e presso il quale avevo acceso un lumino che
Mario aveva ingegnosamente costruito per il viaggio – spirava: erano le
22 e credo non fossimo neppure a Bressanone; padre Costantino e don
Antonio Rigoni lo assistettero nel trapasso. (…) Si giunse così al
Brennero: il silenzio regnava pauroso nel carro, silenzio sepolcrale
quasi imposto dalla figura immobile, rimasta seduta nell’angolo, del
morto Carrè”. Poi l’arrivo a Mauthausen dopo quattro giorni senza
mangiare e bere, in carri trasformati in latrine, le tante incredibili e
inutili atrocità, innumerevoli storie di morte. Infine la Liberazione,
da parte di truppe americane e il ritorno a Bolzano, dove diventerà
avvocato, poi notaio. Aldo Pantozzi è scomparso a Bolzano nel novembre
1995. www.bolzano-scomparsa.it
Alto Adige 9-12-12
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