Dalla metà del secolo scorso, accanto
all'agricoltura, al commercio del legname e all'allevamento del baco
da seta, l'estrazione del porfido rappresentò, per un certo periodo,
un'attività di una certa rilevanza .
In precedenza il porfido, prelevato
dalle falde di detrito senza far ricorso a cave, era stato
occasionalmente impiegato nell'edilizia, per la copertura di tetti o
nelle opere di sistemazione dell'Adige.
La grande domanda di perfido giunse
pressoché improvvisa in un periodo di crescente attività edilizia
in cui si introdusse l'uso di lastricare vie e percorsi pedonali di
città. Per questo scopo necessitavano grandi quantitativi di
materiale resistente a forte usura meccanica e di facile estrazione.
Ad entrambi questi requisiti
rispondevano in maniera eccellente le ignimhriti riolitche prodotte
dalle più recenti fuoruscite di nube ardente, quelle cioè che
costituiscono - con uno strale potente - la porzione più elevala
della piattaforma porfirica.
Sì tratta di rocce altamente
resistenti alla compressione (con valori massimi fino a 29 x 104
kN/mq), all'usura ed agli agenti atmosferici, caratteristiche queste
che garantiscono la durevolezza delle pavimentazioni con esse
realizzate.
Soprattutto però le ignimbriti
presentano una compagine strutturale che ne facilita l'estrazione e
una scomponibilità che permette in modo singolare l'ulteriore
lavorazione del materiale. I depositi riolitici di nube ardente sono
infatti contrassegnati spesso da estese e fitte fessure parallele.
Queste delimitano lastre di varia grandezza e per lo più di medio
spessore, la cui estrazione è relativamente facile anche con
procedimenti artigianali.
Le lastre possono essere utilizzate
direttamente o venire scomposte in pezzi della misura desiderata. La
scomposizione viene eseguita tradizionalmente a mano, sfruttando
abilmente il fatto che l'alto contenuto vetroso delle ignimbriti
permette alle loro lastre di comportarsi quasi alla stregua di una
lastra di vetro. È sufficiente che il tagliapietre scalfisca
dapprima una lastra per poterne poi, con qualche martellata sapiente
sul retro, provocare la frattura lungo la linea prescelta. Questa
conveniente pratica di lavorazione si ripercuote vantaggiosamente su
tutta la gamma dell'offerta e sul prezzo di mercato dell'intera
produzione.
La cava di porfido più antica della
Bassa Atesina - e probabilmente anche dell'intera area vulcanica
sudtirolese – fu aperta nel territorio comunale di Laives da Josef
Gerber nel 1850. Dal 1850 al 180 egli tenne alle sue dipendenze una
decina di operai addetti alla produzione di lastre per marciapiede e
trogoli da fontana, dello spessore di 5-10 cm e fino a 5 in di
lunghezza e 2 di larghezza.
Inizialmente le lastre venivano
smerciate essenzialmente nella città di Bolzano; dagli anni 80 in
poi tuttavia arrivarono sempre più numerose le richieste di
materiale da lastricazione da città austriache, germaniche e
svizzere. Si aprirono allora numerose altre cave e in breve tempo
l'area Laives-Bronzolo-Ora divenne il centro dell'estrazione dei
porfidi. Tre aziende assunsero a grande importanza in tale attività:
quella della famiglia Lentsch fondata a Bronzolo nel 1883, e due
d'inizio secolo, l'una gestita dall'imprenditore Flor sul
Breitenberg, l'altra da un certo Lunz sullo
Judenberg. A queste si aggiunsero
numerose ditte minori, delle quali è ormai difficile individuare il
titolare e l'ubicazione.
Non solo lastre, ma sopratutto cubetti
e cordonate enumerava il listino d'offerta delle diverse ditte, le
quali, il più delle volte, oltre che l'estrazione e l'approntamento
dei pezzi d'opera, eseguivano anche i lavori di pavimentazione. Un
ulteriore impulso al già fiorente mercato del porfido lo diede la
linea ferrata diretta a sud, aperta negli anni 60, benché le tariffe
di trasporto fossero qui pressoché doppie rispetto a quelle
praticate dalle restanti ferrovie austriache.
Il primo conflitto mondiale ebbe come
effetto la perdita degli antichi mercati per cui si rese necessaria
la riorganizzazione sulla base di situazioni commerciali
completamente nuove. Negli anni 20 la maggior parte delle cave
dislocate nell'arca di Laives-Bronzolo-Ora finì in mano a grandi
imprenditori italiani, e altre nuove e sempre più grandi se ne
aprirono nel Trentino, soprattutto in Val di Cembra, ma anche nella
provincia di Bolzano, a Burgstall/Postal e in altre località.
L'estrazione dl porfido avvenne allora su scala industriale
raggiungendo la massima fioritura a metà degli anni 30, dopo di che
iniziò il lento declino che si concluse - per la provincia di
Bolzano - nel 1944 e 1.945 con la completa interruzione
dell'attività.
Dopo la seconda guerra mondiale
l'estrazione del porfido ebbe una ripresa stentata, nel 1954 superò
di stretta misura i massimi dell'anteguerra, ma poi la produzione
cominciò un'altra volta a calare fortemente e al giorno d'oggi essa
è a livelli di molto inferiori a quelli registrati nella provincia
di Trento.
Negli ultimi tempi le imprese del
comune di Laives dovettero incontrare crescenti difficoltà come si
deduce dalle numerose aperture e successive cessazioni di attività.
Negli anni 50 esistevano ancora 5 cave, nel 1961 ormai solo due, e
nel 1966 finì per chiudere anche l'ultima, quella nei pressi di maso
Gampner.
Però le tracce dell'antica attività
estrattiva gli appariscenti squarci nei gradoni rocciosi e le estese
falde dei detriti ai loro piedi – resteranno evidenti ancora per
molto tempo.
Particolarmente numerose sono le cave
abbandonate sui pendii tra il Brantental/Vallarsa e il confine di
Bronzolo, più o meno sotto i 600 m di quota, e sul costone sud del
Breitenberg/Monte Largo tra Hochegger e maso Gampner. Isolata e ormai
in gran parte ricoperta dalla vegetazione giace una cava a 750 m di
altitudine, sotto la strada per Pietralba, sul costone scosceso verso
il Brantenbach/Rio Vallarsa. mentre 1a più ampia - con un esteso e
alto fronte estrattivo - è annidata a circa 850 m di quota sul
versante nordovest del Breitenberg/Monte Largo.
da La geologia del territorio di Laives
in Dal Paese alla città Laives
Paul Stacul. Editore: Cassa Rurale di Laives-Leifers
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