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domenica 13 maggio 2012

«Come battere la crisi? La via d’uscita è il commercio solidale»



Il 18 maggio sarà a Bolzano uno dei padri degli scambi equi a livello mondiale per presentare il suo ultimo libro «Manifesto dei poveri»

di Francesca Lazzaro
Il padre del commercio equo e solidale, l'olandese Frans van der Hoff, missionario in Messico, sarà ospite del Teatro Cristallo a Bolzano venerdì 18 maggio alle ore 20.30 e presenterà in anteprima nazionale, l'edizione italiana del suo ultimo libro «Manifesto dei poveri» edito da «Il Margine». Moderatore della serata sarà Pietro Raitano, direttore del mensile «Altreconomia» e sul palco, affiancherà van der Hoff, l'artista italiano Ugo Dighero, testimonial di CTM Altromercato. Il suo libro colpisce subito, fin dal titolo: «Manifesto dei Poveri». Da cosa è nata l'esigenza di mettere nero su bianco le sue considerazioni sul sistema economico globale? «Il mondo oggi deve fare i conti con due grandi crisi, quella finanziaria e quella climatica che insieme hanno generato la difficile situazione economica globale. Quando ho realizzato questa stretta interconnessione di cause ho scritto, di slancio, il “Manifesto dei poveri”. So che esiste una via d'uscita per questa crisi: è il commercio equo e solidale che si basa su regole, controlli severi e un obiettivo specifico, quello di organizzare i piccoli produttori e produrre in modo biologico per ripulire il territorio. L'ho chiamato “Manifesto” perché ha la pretesa di esserlo veramente: è una “dichiarazione” dei contadini e dei lavoratori poveri che si sono organizzati tra loro e che ora vogliono uscire allo scoperto». La crisi mondiale sta mettendo in scacco le grandi potenze economiche. Quanto influisce per i paesi del Sud del mondo e per i loro lavoratori? «Le grandi potenze preferiscono adottare la politica dello struzzo e nascondere la testa sotto la sabbia, cercando dei capri espiatori. Il Sud del mondo è abituato a vivere in una situazione di crisi perenne. Chiaramente l'attuale situazione economica mondiale ha influenze negative anche per i Paesi poveri, ma alcuni si sono organizzati, soprattutto l'Asia e l'America Latina attraverso i mercati regionali, con rigide regole di controllo, nazionalizzando le risorse... Il problema è che tutto è stato fatto in un modo approssimativo. La paura di rivolte sociali (come quelle della primavera araba), il senso di incertezza e l'assenza delle istituzioni politiche complicano la situazione. Sempre di più però sta emergendo la consapevolezza che solo se i lavoratori si organizzano la loro vita può essere sostenibile e un esempio di questo sono alcuni movimenti nati dal basso (come “Morena”, il movimento messicano per la rinascita nazionale) che propongono delle alternative propositive. I veri cambiamenti sostenibili vanno a braccetto con questi movimenti: “sin propuesta no hay protesta” e in effetti vari movimenti di protesta di contadini organizzati spesso poi si sono associati a Fair Trade». Il 2012 è l'anno internazionale della cooperazione. Nel Sud del mondo il metodo cooperativo ha dato buoni frutti e la sua cooperativa di produzione di caffè “Uciri” ne è un esempio concreto. Tutto ciò basta per affrontare le sfide del capitalismo? «La cooperazione, da sola, non è sufficiente per affrontare l'attuale capitalismo: deve essere affiancata ad una profonda analisi della crisi. Le cooperative infatti spesso si sono “snaturate” vendendosi al sistema e mascherandosi dietro quella forma statutaria per dimostrare la loro moralità. La cooperazione senza una chiara posizione politica e democratica nei confronti dei piccoli produttori, degli operai e dei consumatori, è come un corpo senza testa». A gennaio di quest'anno sappiamo che Fair Trade Usa è uscita dal circuito Fair Trade International. Lei e il suo socio storico Nico Roozen avete una posizione contrastante sul tema dello sviluppo del Fair Trade. Cosa vi divide? «Il nostro disaccordo si gioca sulle tematiche della democrazia all'interno del movimento, sulla proprietà dei marchi e sulla questione dei piccoli produttori. A mio parere mischiare piccoli produttori e grandi proprietari terrieri assieme a lavoratori disorganizzati o male organizzati genera confusione. E siamo anche discordi sul fatto di far entrare le grandi aziende nel mondo del commercio equo. È molto difficile fra capire ai piccoli produttori che devono trattare con gli stessi soggetti (le multinazionali) che sono la principale fonte della crisi e del loro sfruttamento ma che si nascondono dietro a certificazioni di responsabilità sociale d'impresa. Roozen e Fair Trade USA hanno un approccio indirizzato puramente al mercato. Per me questa strada è un vicolo cieco». Secondo lei ci potrà essere, in un futuro non troppo lontano, un commercio equo su larga scala? «Il commercio equo ha l'aspirazione di imporsi su larga scala! E per questo, purtroppo, spesso non è collegato a importanti movimenti alternativi che stanno nascendo in molti paesi. L'assenza o la scarsa partecipazione nel movimento “occupy” o fra gli “indignados” è un segnale preciso in questa direzione. Il commercio equo da solo non può creare quella resistenza necessaria ai cambiamenti urgenti che vanno fatti. Anche le pressioni sui governi locali e nazionali vanno portate avanti più seriamente». Ha qualche «dritta» per Fair Trade Italia? «Consiglio di fare chiarezza su ciò che davvero si vuole dal movimento. Bisogna coltivare la comunicazione con i consumatori e con le loro organizzazioni, fare piazza pulita degli estremismi e rendere le persone consapevoli che, nonostante il disincanto, possono fare cose di valore in un modo semplice, con ripercussioni di lunga durata. Le crisi sono state causate dall'uomo e dall'uomo possono essere risolte, se si riconoscono le radici profonde: avidità, amor proprio, pensiero unico. Dobbiamo prendere coscienza che noi, come membri del movimento del commercio equo insieme a molti altri movimenti nati dal basso, abbiamo una tremenda responsabilità, che ci lancia delle sfide per “raddrizzare le strade deviate”». Sappiamo che lei ha un rapporto particolare con Bolzano e che è molto legato a Rudi Dalvai, fondatore di Altromercato e attuale presidente mondiale di WFTO (World Fair Trade Organization). Ha un ricordo particolare della città? «Di Bolzano ho un bellissimo ricordo: è un interessante melting pot di culture differenti e di persone con senso “politico”. Ci sono, è vero, molte tensioni per il passato, ma i bolzanini hanno saputo costruire una città davvero vivibile in un magnifico territorio».

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