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venerdì 27 gennaio 2012

La Provincia: basta diritti dell’«uomo»


Ufficiali le direttive sulla parità tra i sessi nel linguaggio amministrativo

FRANCESCA GONZATO 
BOLZANO. L’assessora appartiene alla preistoria. A questa formula pioneristica si aggiungono oggi la sindaca, l’architetta, l’assistente informatica e via esemplificando tra cariche elettive, ordini professionali e settori lavorativi.
 E soprattutto, escono di scena i «diritti dell’uomo», sostituiti dai «diritti della persona».
 La Provincia ha emanato le proprie «Direttive per il rispetto di genere nei testi dell’amministrazione provinciale». Il testo, che risale al settembre 2011, ha trovato la propria ufficialità questa settimana con la pubblicazione nel Bollettino ufficiale della Regione.
 Quattro i testi predisposti: italiano, tedesco, ladino della Val Badia e ladino della Val Gardena.
 E’ un lavoro certosino, che si infila dritto in un campo minato. Il linguaggio «femminilizzato» divide il mondo delle donne: si ama o si odia.
 Le stesse direttive riconoscono il problema. «Nell’italiano tutta una serie di denominazioni di professioni, titoli e cariche», si legge, «pur ammettendo la formula femminile sono usate esclusivamente al maschile. Anche se il sistema linguistico prevede la formula femminile, questa non è entrata nell’uso. E’ indispensabile quindi valutare con la massima attenzione l’opportunità o meno di adottare il femminile, per non forzare la lingua e non urtare la sensibilità delle persone. Questo perché rispetto al tedesco, in cui vi è una sensibilità linguistica diversa e sono stati fatti notevoli passi avanti, alle forme femminili italiane è attribuita una connotazione riduttiva rispetto a quelle maschili». Come esempi si cita il termine «segretaria», che rimanda automaticamente più alla «segretaria dell’avvocato», che a una donna nel ruolo di «segretario di Stato».
 Finora ci si è mossi in base alle indicazioni delle interessate (ad esempio le «assessore» che chiedono di essere chiamate così). Il prontuario provinciale suggerisce: «Per favorire l’adozione dei titoli professionali al femminile sarebbe auspicabile sensibilizzare i rispettivi ordini professionali». Tra i termini ancora poco utilizzati vengono citati direttrice generale, ministra, avvocata, notaia, ingegnera. Le direttive si occupano delle regole sul linguaggio di genere in tutti i testi dell’amministrazione provinciale, dalle lettere al materiale giuridico.
 L’obiettivo, viene sottolineato, è «comunicare rispettando la simmetria maschile-femminile e non oscurare la presenza femminile». A partire da qui si entra in una dettagliata casistica.
 Lo strumento più efficace per dare visibilità al genere femminile, viene sottolineato, è lo sdoppiamento: invece di lavoratori, usare formule come «lavoratrici e lavoratori» o la meno scorrevole «il servizio è a carico del o della contribuente».
 Troppo complicato? Obiezione accolta. Le direttive si occupano del problema nella sezione riservata ai testi giuridici: «Hanno un carattere generale e astratto e sono indirizzati alla generalità dei cittadini e delle cittadine. Pertanto, come gli altri testi dovrebbero dare la giusta visibilità anche alla donna. Ciononostante, in un testo giuridico deve prevalere la certezza del diritto, per cui è essenziale valutare di volta in volta l’opportunità di usare un linguaggio di genere, se ciò andasse a scapito della leggibilità del testo».
 Sulle questioni importanti invece il punto resta fermo. Così il personale viene invitato a scrivere «persona anziché uomo» e «diritti umani o diritti della persona, anziché diritti dell’uomo» e infine «il personale anziché i dipendenti».
 Queste formulazioni neutre, che evitano la mascolinizzazione del linguaggio, possono diventare valide alleate per evitare continue ripetizioni. Al posto di «possono partecipare i cittadini e le cittadine interessate», è sufficiente usare «le persone interessate». E comunque, meglio «una vigile», che «una donna vigile».
Alto Adige 27-1-12

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