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giovedì 8 marzo 2012

Il Premio Langer alle donne tunisine


Protagoniste della primavera araba e della rinascita democratica del loro Paese

ll premio Langer 2012 è stato assegnato ad un’associazione tunisina che da 20 anni si batte per i diritti delle donne. L’annuncio è stato dato ieri dal presidente della Fondazione Langer Enzo Nicolodi, coadiuvato da Christine Helfer e dalla coordinatrice del premio Langer ed Euromediterranea Serena Rauzi. Anche quest’anno il premio ha una dotazione di 10.000 euro, messi a disposizione dalla Fondazione Cassa di Risparmio che ha rinnovato il suo sostegno a questa iniziativa che ha il grande pregio non solo di sostenere economicamente realtà associative che si fanno promotrici di esperienze pionieristiche nel campo dei diritti umani e civili in nelle aree internazionali più a rischio, ma soprattutto di creare un ponte con quelle aree.
 Un ponte di solidarietà ma soprattutto di consapevolezza e condivisione del complesso meccanismo globale, nel solco indicato per anni da Alexander Langer.
Il premio verrà fisicamente consegnato il 29 giugno all’interno di Euromediterranea nelle mani delle rappresentanti ospiti dell’Associazione Democratica delle Donne Tunisine che il giorno dopo saranno coinvolte, insieme a rappresentanti di altri paesi, europei e del nord Africa, in una giornata di approfondimento sui diritti delle donne.
L’Associazione Democratica delle Donne Tunisine è stata prescelta dalla Fondazione Langer sulla base di un’originaria segnalazione fatta da Bettina Foa, membro del comitato scientifico della Fondazione Langer e funzionario della Comunità Europea. La decisione definitiva è stata poi presa dopo un viaggio in loco compiuto a fine dicembre dal presidente Nicolodi, la stessa Foa e da Serena Rauzi.
Proprio a quest’ultima abbiamo rivolto alcune domande per meglio delineare l’attività dell’associazione a cui è stato assegnato il premio 2012. (l.s.)

di Luca Sticcotti
Serena Rauzi, come siete arrivati alla Tunisia?
 «Un ruolo cruciale come sempre è stato svolto dal nostro comitato scientifico presieduto dal prof. Fabio Levi e del quale fanno parte altri autorevoli intellettuali, tra cui Roland Benedikter, sudtirolese docente a Stanford negli Stati Uniti ma anche collaboratore dell’Eurac e della Libera Università di Bolzano.
Abbiamo rivolto la nostra attenzione alla Tunisia perché è uno dei primi paesi del Mediterraneo ad essere scosso dalla cosiddetta primavera araba. La Tunisia è uno stato particolare sotto molti aspetti: lì la rivoluzione è nata in un terreno senz’altro meno predisposto alla guerra rispetto ad altri paesi dell’area. Nonostante la dittatura di Ben Alì si sia protratta per molti anni, la Tunisia ha vissuto nella sua storia anche momenti di confronto democratico piuttosto significativo. Pensiamo solo al distacco dal colonialismo francese, avvenuto attraverso modalità senz’altro più morbide rispetto a quello cruente della vicina Algeria. Abbiamo pensato che la Tunisia può essere oggi, anche per altri paesi del nord Africani, un modello di risoluzione pacifica delle problematiche conflittuali e soprattutto un modello per quanto riguarda i diritti delle donne».
Ecco, a quanto pare quello dei diritti femminili è uno dei temi cruciali della primavera araba...
 «E non solo. Proprio nelle ultime ore ci è giunta la notizia dell’incarcerazione a Teheran dell’avvocato Narges Mohammadi, premio langer 2009, stretta collaboratrice del nobel per la pace Shirin Ebadi. E’ stata la stessa Mohammadi ad inviarci una lettera commovente in cui ci comunica per i prossimi 6 anni sarà privata della libertà.
Tra i 16 premi Langer assegnati molte sono state donne impegnate a ricucire drammi e traumi. Questo perché le donne spesso tessono relazioni dove gli uomini generano conflitti. Sostenere il mondo femminile vuol dire sostenere direttamente la “ricostruzione” delle società».
Qual è la storia dell’Associazione Democratica delle Donne Tunisine?
 «È attiva da 20 anni, indipendente e laica. Sostiene da sempre il processo di democratizzazione in un paese musulmano, promuovendo in questo processo la parità della donna rispetto all’uomo. L’associazione è costituita da 200 donne, intellettuali e residenti nella capitale, che hanno giocato un ruolo importante nella primavera araba. Il premio consente di stabilire un contatto tra il Maghreb e il nord Europa, l’Italia e il Sudtirolo nello specifico. Quando a fine giugno accoglieremo la delegazione tunisina, da loro ci sarà molto da imparare».
Come è stata presa la decisione definitiva?
 «Nel nostro viaggio a Tunisi di fine dicembre abbiamo incontrato molte persone che sono state protagoniste della rivoluzione ed abbiamo potuto innanzitutto accrescere le nostre conoscenze in merito alla situazione attuale. E’ stata un’esperienza molto interessante: siamo andati con delle aspettative abbastanza chiare e siamo tornati con le idee confuse più che mai. Quella che la Tunisia sta vivendo è situazione di grande cambiamento che ognuno interpreta in maniera molto personale. Vi è molto timore per il risultato delle elezioni che si sono svolte da poco ed hanno visto l’importante affermazione di un partito islamico moderato, della cui moderazione non si sa nulla di certo. Allo stesso tempo vi è però una grande speranza. La nuova direzione democratica e lo svolgimento pacifico delle consultazioni elettorali ha dato comunque a tutti la sensazione che tutte le opzioni sono aperte. Questa atmosfera la abbiamo respirata ovunque, negli ambienti intellettuali ma anche sui taxi che ci hanno accompagnavano in giro per la capitale. In particolare vi è una grande attesa sul tema cruciale delle scelte economiche che verranno operate dalla nuova Tunisia. Ci sono grandi aspettative nei confronti dell’Europa e soprattutto dell’Italia, che lì viene visto quasi come un partner privilegiato».
Nella vostra scelta quali sono i parametri che avete privilegiato?
 «In un anno in Tunisia i cambiamenti sono stati tantissimi: il numero delle associazioni è cresciuto dalle poche decine di prima a più di un migliaio. Oggi c’è una grande spinta di partecipazione popolare. Consapevolmente comunque la Fondazione ha preferito premiare chi ha fatto cose concrete, dando un segnale fortissimo nella direzione del cambiamento. L’Associazione Democratica delle Donne Tunisine si trova tra l’altro oggi in una fase molto delicata perché i cambiamenti intervenuti hanno significato dover riorientare completamente anche il tipo di intervento nella società. Una cosa è lottare per i diritti delle donne in uno stato di regime, un’altra è proseguire la lotta per mantenere i diritti acquisiti ed ottenerne altri in una situazione democratica dove però potrebbero prevalere istanze che promuovono come “novità” politiche dai forti accenti religiosi».
In questo senso la Tunisia condivide un’incertezza che si fa strada anche in altri paesi del Maghreb.
 «Sì, anche se in Tunisia in realtà si è verificata una situazione stranissima. Il dittatore Ben Ali faceva parte infatti dell’internazionale socialista insieme a partiti democratici di tutto il mondo. L’Associazione delle Donne Democratiche Tunisine durante la dittatura ha dovuto svolgere un lavoro estremamente complesso affinché i diritti delle donne non venissero associati direttamente alla dittatura laica, con il rischio di essere strumentalizzati. Durante il regime le donne dell’associazione sono state fortemente represse, a loro era impedito di uscire da Tunisi ed organizzare manifestazioni, mentre subivano in continuazione controlli individuali. Abbiamo avuto occasione di visitare la loro sede, dove hanno sede un centro di consulenza per la violenza alle donne che fornisce loro anche assistenza legale, un centro studi per la promozione dell’università femminile ed anche un ufficio che sostiene le donne quando vengono ingiustamente escluse dalle eredità. Tutti servizi che nella Tunisia di oggi sono il sale della nuova democrazia».
Alto Adige 8-3-12

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