Dal primo gennaio in vigore le nuove regole: uscita a 66 anni e 3 mesi ma si potrà restare al lavoro fino ai 70
di Maria Rosa Tomasello
ROMA Invecchieremo tutti al lavoro, ammesso di
riuscire a tenerci stretto il posto tanto a lungo. Uomini e donne senza
più alcuna distinzione d’età, almeno a partire dal 2018, quando la
riforma del sistema messa in moto dal governo Berlusconi e condotta in
porto da Elsa Fornero passerà la sua livella su tutti, senza riguardi
per sesso o condizioni usuranti, con un unico comune denominatore:
l’aumento dell’aspettativa di vita e la necessità di rendere sostenibile
il sistema. Tra sei anni, raggiunta la linea spartiacque, tutti
potranno andare in pensione solo al raggiungimento dei 66 anni e 7 mesi,
a meno che – secondo le nuove regole del gioco – qualcuno non decida di
restarci più a lungo. A partire dal 2013, infatti, gli stakanovisti
potranno restare – senza rischiare di essere licenziati – fino a 70 anni
e tre mesi, un’età di possibile permanenza al lavoro che via via
crescerà fino a raggiungere nel 2065 l’età quasi fantascientifica di 75
anni e tre mesi. Gli adolescenti che oggi sono ancora sui banchi di
scuola o i giovanissimi a caccia senza successo di un contratto (la
disoccupazione giovanile ha raggiunto il livello record del 36,5%)
dovranno dunque prepararsi a una lunga strada in salita, e con il
rischio di vedersi impedito a lungo l’accesso ai posti transennati dai
lavoratori anziani. Diventati per legge di lungo corso. Le nuove regole.
La marcia verso il meritato riposo dei futuri pensionati inizia tra
poche settimane: entra infatti in vigore a gennaio la riforma griffata
Fornero. Sino alla fine di quest’anno sono usciti dal lavoro i
dipendenti che avevano già maturato i requisiti al termine del 2011, ma
hanno dovuto aspettare il numero di mesi indicato per passare attraverso
la cosiddetta “finestra mobile”: 12 per i lavoratori dipendenti, 18 per
gli autonomi. Questi ultimi saranno gli unici infatti a usufruire fino a
giugno del vecchio regime. Un discorso a parte va fatto per gli
esodati, ovvero i lavoratori che avevano già concluso accordi per il
prepensionamento e che sono rimasti “incastrati” tra vecchio e nuovo
regime, ritrovandosi senza pensione né impiego a causa della riforma che
ha posticipato l’età pensionabile: 130 mila le persone “salvaguardate”
finora rispetto a una platea decisamente più ampia. Per loro resteranno
ancora valide per alcuni anni le vecchie regole. Cosa succederà. A
partire dal 2013, dunque, si potrà andare in pensione di vecchiaia a 66
anni e 3 mesi per gli uomini e a 62 anni e 3 mesi per le donne (63 e 9
mesi se lavoratrici autonome), con una progressione che poi porterà ai
66 anni e 7 mesi per tutti nel 2018. Nel 2065 l’età pensionabile
raggiungerà i 71 anni e 3 mesi. Il lavoratore potrà anche scegliere se
restare al lavoro più a lungo: fino ai 70 anni e 3 mesi nel 2013,
quattro anni in più rispetto alla soglia della pensione di vecchiaia. La
legge prevede espressamente in questo caso la tutela dell’articolo 18
dello Statuto dei lavoratori. Chi decide di lavorare più a lungo avrà un
assegno più ricco: la legge infatti incoraggia la permanenza con un
coefficiente di calcolo più alto, un “premio” che si aggiunge
all’accumulo di contributi, dal momento che a partire da quest’anno è
scattato per tutti il regime del contributivo pro-rata. Il traguardo del
2018. Fino alla cesura del 2018, le dipendenti private conserveranno un
piccolo vantaggio rispetto ai dipendenti pubblici, che sarà via via
eroso: dai 62 anni e 3 mesi del 2013 si passerà ai 65 anni e 7 mesi del
2017, fino a raggiungere l’ allineamento. La pensione anticipata. Resta
naturalmente la possibilità di andare in pensione anticipata rispetto
alla vecchiaia (la vecchia pensione di anzianità), ma per farlo
occorrerà aver maturato almeno 42 anni e 5 mesi di contributi se uomini,
un periodo ridotto a 41 anni e 5 mesi per le donne. Ma se per chi resta
più a lungo è previsto un incentivo, per chi lascerà in anticipo
scatterà un disincentivo: chi uscirà prima dei 62 anni subirà un taglio
dell’assegno pari all’1% fino ai primi due anni, quindi del 2%. «Salva»
la classe 1952. È previsto che le dipendenti che abbiano compiuto 60
anni entro il 2012 possano andare in pensione a 64 anni e 7 mesi (quindi
nel 2016, senza rischiare un ulteriore scalino a 65 anni e tre mesi),
un “salvagente” per le donne nate nella seconda metà del 1952 che
altrimenti avrebbero rischiato di aspettare la pensione fino al 2018,
cinque anni in più rispetto alle colleghe nate nel 1951. Anche per gli
uomini, che subiscono una stangata con le norme sulla pensione
anticipata, è prevista una eccezione: hanno la possibilità di andare in
pensione a 64 anni i lavoratori che entro il 2012 hanno maturato 60 anni
d’età e 35 anni di contributi: dunque i lavoratori nati nel 1952
potranno lasciare il lavoro nel 2016 a 64 anni e 7 mesi, pur avendo solo
39 anni di contributi. La riforma stabilisce inoltre una novità
importante per chi ha cominciato a lavorare dopo il 1995, quindi quando
era già pienamente in vigore il regime contributivo, con la possibilità
di andare in pensione di vecchiaia con tre anni di anticipo: 63 anni e
tre mesi da gennaio, che aumenteranno fino a 68 e tre mesi nel 2065.
Alto Adige 9-12-12
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