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domenica 9 dicembre 2012

Scatta la riforma, in pensione più tardi

Dal primo gennaio in vigore le nuove regole: uscita a 66 anni e 3 mesi ma si potrà restare al lavoro fino ai 70 

di Maria Rosa Tomasello
ROMA Invecchieremo tutti al lavoro, ammesso di riuscire a tenerci stretto il posto tanto a lungo. Uomini e donne senza più alcuna distinzione d’età, almeno a partire dal 2018, quando la riforma del sistema messa in moto dal governo Berlusconi e condotta in porto da Elsa Fornero passerà la sua livella su tutti, senza riguardi per sesso o condizioni usuranti, con un unico comune denominatore: l’aumento dell’aspettativa di vita e la necessità di rendere sostenibile il sistema. Tra sei anni, raggiunta la linea spartiacque, tutti potranno andare in pensione solo al raggiungimento dei 66 anni e 7 mesi, a meno che – secondo le nuove regole del gioco – qualcuno non decida di restarci più a lungo. A partire dal 2013, infatti, gli stakanovisti potranno restare – senza rischiare di essere licenziati – fino a 70 anni e tre mesi, un’età di possibile permanenza al lavoro che via via crescerà fino a raggiungere nel 2065 l’età quasi fantascientifica di 75 anni e tre mesi. Gli adolescenti che oggi sono ancora sui banchi di scuola o i giovanissimi a caccia senza successo di un contratto (la disoccupazione giovanile ha raggiunto il livello record del 36,5%) dovranno dunque prepararsi a una lunga strada in salita, e con il rischio di vedersi impedito a lungo l’accesso ai posti transennati dai lavoratori anziani. Diventati per legge di lungo corso. Le nuove regole. La marcia verso il meritato riposo dei futuri pensionati inizia tra poche settimane: entra infatti in vigore a gennaio la riforma griffata Fornero. Sino alla fine di quest’anno sono usciti dal lavoro i dipendenti che avevano già maturato i requisiti al termine del 2011, ma hanno dovuto aspettare il numero di mesi indicato per passare attraverso la cosiddetta “finestra mobile”: 12 per i lavoratori dipendenti, 18 per gli autonomi. Questi ultimi saranno gli unici infatti a usufruire fino a giugno del vecchio regime. Un discorso a parte va fatto per gli esodati, ovvero i lavoratori che avevano già concluso accordi per il prepensionamento e che sono rimasti “incastrati” tra vecchio e nuovo regime, ritrovandosi senza pensione né impiego a causa della riforma che ha posticipato l’età pensionabile: 130 mila le persone “salvaguardate” finora rispetto a una platea decisamente più ampia. Per loro resteranno ancora valide per alcuni anni le vecchie regole. Cosa succederà. A partire dal 2013, dunque, si potrà andare in pensione di vecchiaia a 66 anni e 3 mesi per gli uomini e a 62 anni e 3 mesi per le donne (63 e 9 mesi se lavoratrici autonome), con una progressione che poi porterà ai 66 anni e 7 mesi per tutti nel 2018. Nel 2065 l’età pensionabile raggiungerà i 71 anni e 3 mesi. Il lavoratore potrà anche scegliere se restare al lavoro più a lungo: fino ai 70 anni e 3 mesi nel 2013, quattro anni in più rispetto alla soglia della pensione di vecchiaia. La legge prevede espressamente in questo caso la tutela dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Chi decide di lavorare più a lungo avrà un assegno più ricco: la legge infatti incoraggia la permanenza con un coefficiente di calcolo più alto, un “premio” che si aggiunge all’accumulo di contributi, dal momento che a partire da quest’anno è scattato per tutti il regime del contributivo pro-rata. Il traguardo del 2018. Fino alla cesura del 2018, le dipendenti private conserveranno un piccolo vantaggio rispetto ai dipendenti pubblici, che sarà via via eroso: dai 62 anni e 3 mesi del 2013 si passerà ai 65 anni e 7 mesi del 2017, fino a raggiungere l’ allineamento. La pensione anticipata. Resta naturalmente la possibilità di andare in pensione anticipata rispetto alla vecchiaia (la vecchia pensione di anzianità), ma per farlo occorrerà aver maturato almeno 42 anni e 5 mesi di contributi se uomini, un periodo ridotto a 41 anni e 5 mesi per le donne. Ma se per chi resta più a lungo è previsto un incentivo, per chi lascerà in anticipo scatterà un disincentivo: chi uscirà prima dei 62 anni subirà un taglio dell’assegno pari all’1% fino ai primi due anni, quindi del 2%. «Salva» la classe 1952. È previsto che le dipendenti che abbiano compiuto 60 anni entro il 2012 possano andare in pensione a 64 anni e 7 mesi (quindi nel 2016, senza rischiare un ulteriore scalino a 65 anni e tre mesi), un “salvagente” per le donne nate nella seconda metà del 1952 che altrimenti avrebbero rischiato di aspettare la pensione fino al 2018, cinque anni in più rispetto alle colleghe nate nel 1951. Anche per gli uomini, che subiscono una stangata con le norme sulla pensione anticipata, è prevista una eccezione: hanno la possibilità di andare in pensione a 64 anni i lavoratori che entro il 2012 hanno maturato 60 anni d’età e 35 anni di contributi: dunque i lavoratori nati nel 1952 potranno lasciare il lavoro nel 2016 a 64 anni e 7 mesi, pur avendo solo 39 anni di contributi. La riforma stabilisce inoltre una novità importante per chi ha cominciato a lavorare dopo il 1995, quindi quando era già pienamente in vigore il regime contributivo, con la possibilità di andare in pensione di vecchiaia con tre anni di anticipo: 63 anni e tre mesi da gennaio, che aumenteranno fino a 68 e tre mesi nel 2065. 
Alto Adige 9-12-12

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