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martedì 20 novembre 2012

L’UNIVERSITÀ DEVE USCIRE DAL FORTINO


di Paolo Campostrini
Il problema dell'università di Bolzano non è la qualità degli studi, è la qualità dei rapporti. Quando gli studenti, davanti ai loro presidi in feluca, hanno detto in tre lingue che stare alla Lub è come essere a scuola, e che hanno aperto un fronte che l'ateneo bolzanino non ha mai chiuso. Nata in laboratorio, l'università stenta ad uscirne. Voluta dall'Autonomia per certificare il suo riscatto da un centralismo non solo scolastico, ha sempre visto la propria autonomia interna (anche studentesca) costantemente sotto tutela. 
Creata «territoriale» e trilingue, fa fatica a parlare le lingue del suo territorio. In sostanza gli studenti non hanno detto che la Lub è inferiore alle altre realtà accademiche, anzi: hanno detto che resta spesso fuori dalla realtà che la circonda. Che non vive l'autonomia come stimolo al confronto e alle sue criticità. Durante le manifestazioni studentesche che percorrono Bolzano, i ragazzi delle superiori passano spesso in piazza Sernesi e provano a stanare gli universitari per farli scendere con loro per le strade. È sempre stata fatica sprecata. sibilano quelli dei collettivi. Bolzano ha difficoltà a entrare alla Lub per capire cosa pensano gli studenti e la Lub stenta a capire e a farsi capire da Bolzano. Non ci sono momenti di integrazione reale, i ragazzi non entrano nel dibattito che percorre la vita culturale e soprattutto politica della città. L'ateneo, rispetto alla sua «polis» sembra un fortilizio. Eppure Bolzano avrebbe un grande bisogno di entrarci. E anche l'Alto Adige: invece (sempre secondo la relazione dei rappresentanti degli studenti) le sedi distaccate, disegnate a tavolino per creare una rete territoriale universitaria, sembrano isolate marche di confine, presìdi solitari, con pochissimi collegamenti con l'esterno e pesanti difficoltà nel rapportarsi logisticamente ai livelli di servizi del capoluogo. Anche i docenti, forse per un turn-over molto intenso, pare desiderino restare fuori dai fronti del dibattito, sono restii a mettere a disposizione non solo la loro vis polemica ma anche gli strumenti scientifici e le esperienze linguistiche. Lo stesso insegnamento trilingue, voluto per caratterizzare fortemente un ateneo che doveva crescere e svilupparsi dentro una realtà massicciamente bilingue, sembra sia diventato un freno al dialogo invece che un acceleratore. Come fosse un tratto elitario, un ostacolo alle sinergie. Naturalmente, essendo quella bolzanina una università giovane e di grande qualità complessiva, ha tutti gli strumenti per ridisegnare la propria mission. Ma deve individuarne una anche rispetto ai rapporti esterno-interno. È difficile diventare adulti solo studiando. È difficile farlo senza fare politica, intesa come attitudine alla critica e al confronto, ad uno sguardo complessivo sulle questioni, capace di non isolarle dal contesto. E il contesto, in Alto Adige, è ricco di questioni critiche. Di lingue conosciute e non praticate, di culture grandi e distanti, di integrazioni complicate. Un terreno straordinario per chi volesse entrarci anche dall'alto dei suoi studi universitari. La Lub potrebbe diventare un grande laboratorio da cui attingere e a cui rioffrire esperienze di vita vissuta in una realtà complessa come la nostra. E gli studenti essere dei sensori, degli esploratori calati nella realtà per accumulare dati e parole da rielaborare nelle aule. Gli stessi professori, piovuti spesso da contesti europei distanti anni luce, potrebbero offrirsi a questo bagno di realtà, visto che la provincia di Bolzano è da almeno sessant'anni un laboratorio a cielo aperto di confronto-scontro linguistico e culturale. Allora, forse, anche i due studenti che hanno agitato l'apertura dell'anno accademico, si sentirebbero meno «scolari» e più universitari.
Paolo Campostrini  Alto Adige 20-11-12

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