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sabato 17 dicembre 2011

«Noi pendolari con l’incubo del viaggio in piedi»


«Ogni giorno in treno da Bolzano a Verona» 

FRANCESCO PALERMO
Oggi è un giorno fortunato. Posso permettermi lussi rari per un pendolare: partire più tardi e viaggiare in prima classe. Invece del regionale delle 6.23, prendo il regionale veloce (sic!) delle 7.32 per Verona. Sempre più spesso la seconda classe è stracolma, qualche posto inizia a liberarsi a Ora, e bisogna occuparlo in fretta perché a Mezzocorona salgono i pendolari trentini.
 Il segreto è memorizzare i volti degli studenti che scendono a Ora, mettersi vicino a loro e attendere che scendano.
 Talvolta bisogna svegliarli perché altrimenti loro perderebbero la scuola, e io non troverei posto.
 Che bello quando ci guadagnano tutti.
 Oggi però niente appostamenti per capitare vicino all’apertura delle porte e trovare così un posto a sedere.
 Devo lavorare con un po’ di calma - il treno è il mio ufficio, passandoci 4 ore al giorno per 3 giorni alla settimana come minimo, salvi i numerosissimi viaggi extra.
 Così, memore dell’esperienza della settimana scorsa - sì, sono un privilegiato, una volta alla settimana posso prendere il treno un po’ più tardi - decido di investire 3 euro e 10 centesimi per il cambio classe.
 Vado in prima, crepi l’avarizia.
 Ma almeno sto comodo, caldo e lavoro tranquillo. La settimana scorsa sono rimasto in piedi fino a Ora in una carrozza gelida. Il riscaldamento è un estremista: o troppo o niente, e non c’è verso di iscriverlo al partito dei moderati.
Insomma mi godo la mia piccola gioia sulla banchina della stazione, binario 4, accarezzato dalla brezzolina da nord che sveglia il cervello e tonifica (a volte un po’ troppo) la pelle dei viaggiatori in inverno. E poi c’è qualcuno che si lamenta per la mancanza di una sala d’aspetto, dimenticando l’effetto benefico e ringiovanente della crioterapia gratuita.
Già pregusto un viaggio lussuoso. Per questo mi fa molta meno invidia degli altri giorni il treno scintillante della Provincia (pardon, “di SAD trasporto locale”) che chiude le sue porte colorate con immancabile puntualità alle 7.29 e parte silenzioso in direzione Fortezza. Quando lo vedo penso che ci sono diverse categorie di pendolari, come le caste indiane. Qui nessuno è un bramino (quelli sono i non pendolari), ma ci sono quelli che viaggiano nel territorio provinciale su treni nuovi e a prezzi stracciati (sì, dal 2012 cresceranno, ma rispetto ai prezzi dei viaggiatori “normali”, peraltro appena cresciuti, resteranno contenuti) e quelli che vanno a sud, costretti a salire su treni fatiscenti, sporchi, stracolmi, con riscaldamento e orari burloni, qualità indiana a prezzi danesi. Ovviamente io appartengo alla seconda categoria.
Poco male, oggi è un giorno fortunato. E infatti il regionale veloce (le parole celano un mondo) in arrivo dal Brennero sbuca puntualissimo dalla curva di Rencio. Incrocia sbuffando il lussuoso treno per Fortezza e sembra mandargli uno sguardo come a dire: “tu sei giovane, bello e profumato, io vecchio, brutto e sporco. Però guarda che mi difendo ancora. Funziono nonostante tutto, e arrivo perfino in orario. Tiè!”.
Il regionale raggiunge ansimante il binario e mentre lui tira un po’ il fiato si consuma il rito dell’involontario avvicendamento etnico. I passeggeri che scendono (con calma, alcune porte si aprono solo per metà) sono tutti di lingua tedesca, quelli che salgono tutti di lingua italiana - tranne i pochi studenti che vanno fino a Ora, da lì in avanti l’omogeneità etnica che regnava fino a Bolzano è ristabilita a parti rovesciate. E’ una segregazione involontaria, pacifica, a volte scontata. L’Italia inizia lì, la mattina presto, sul binario 4 della stazione di Bolzano. Anche se il treno era italiano già da prima, dal Brennero. E i viaggiatori non mancano di notarlo con un misto di disprezzo e rassegnazione, che traspaiono dai commenti dei viaggiatori in discesa, rigorosamente in dialetto. Sono queste le cose che creano fratture incolmabili con l’Italia e che fanno schizzare il consenso per i Freiheitlichen o SüdTiroler Freiheit, non il doppio passaporto, il rilievo di Mussolini o la Befana fascista. Ma non c’è nessun politico con cui condividere queste considerazioni al binario 4 della stazione di Bolzano, prima dell’alba in una fredda mattina d’inverno.
Allontano i pensieri e mi concentro egoisticamente sul piccolo ma sottile piacere di viaggiare in prima classe, e col treno “tardi” - sì, le 7.32 sono un lusso rispetto alle 6.23, è solo una questione di abitudine e di punti di vista.
Entro senza affanni in prima classe, orgoglioso di aver risalito la scala sociale e di appartenere, almeno per oggi, ad una casta superiore. E magari perfino di risparmiare i soldi della tintoria che vanno aggiunti al costo del biglietto o dell’abbonamento, data la pulizia della seconda classe.
 Trovo posto.
 Non solo io, ma pure la mia borsa da lavoro, che posso permettermi il lusso di appoggiare nel sedile accanto invece di tenerla scomodamente sulle ginocchia.
 Mi siedo e sorrido.
 Il treno parte in orario.
 E’ un giorno fortunato.
 Preso da tanta gioia impiego un po’ per realizzare ciò che accade intorno a me.
 La carrozza è gelata (oggi il riscaldamento burlone ha deciso di fare il Robin Hood e di colpire i ricchi: proprio l’unica volta che il ricco ero io), ed è pure buia. Come la notte fuori dal finestrino. Addio lavoro. Non mi resta da fare altro che prendere il computer - quello la luce ce l’ha nello schermo - e scrivere di getto queste riflessioni.
 L’alba trionfa definitivamente sulle tenebre quando siamo quasi a Rovereto. L’articolo è scritto e riletto, ed ho avuto tempo anche per firmare online la petizione dell’Alto Adige sui treni.
 Ho ancora più di cinquanta minuti per lavorare, e le dita sono rimaste sufficientemente calde grazie all’intenso lavoro sulla tastiera. Non posso proprio lamentarmi, è un giorno fortunato.

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