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venerdì 23 marzo 2012

Cure palliative, l’oasi dei malati

Grazie ai volontari del Papavero, inaugurati i nuovi spazi 

ALAN CONTI 
 BOLZANO. «La degenza in cure palliative di un mio familiare è stata l’esperienza più bella della mia vita». Dietro la porta del neonato “Hospice” del reparto diretto da Massimo Bernardo è tutto così: si abbattono tabù e ribaltano concezioni comuni. L’inaugurazione ufficiale dei nuovi ambienti nati sull’onda delle 25 mila firme raccolte dall’associazione “Il Papavero” è il presupposto per entrare in punta di piedi nelle sfumature di un’esperienza difficile da immaginare. «Accompagnare qualcuno nell’ultimo tratto della vita - spiega la presidente del “Papavero” Mara Zussan - è stato per me il più grande arricchimento. Conoscere la serenità e imparare ad affrontare la morte con naturalezza regalano una visione differente delle cose. Il dolore non si cancella, ma una nuova consapevolezza è un bene prezioso».
 È da qui che nasce il lavoro volontario di 580 iscritti che, giorno dopo giorno, si prodigano per aiutare pazienti e famiglie. La stanza relax chiamata efficacemente “Oasis” è il fiore all’occhiello del loro impegno: una cucina curata con divani comodi e grande attenzione ai piccoli arredi. Si respira aria di casa. «In questo stanzino - racconta una mamma che ha da poco perso il giovane figlio - ho pianto diverse volte. Sembrano dettagli, invece in queste situazioni donare un briciolo di quotidianità attraverso l’arredamento può dare un grosso aiuto. Ci sono momenti in cui i famigliari hanno bisogno di raccogliersi o parlare di questioni che potrebbero spaventare i pazienti: giusto che abbiano uno spazio all’altezza».
 «Talvolta basta un tè di metà pomeriggio - le fa eco Zussan - per ricordare i gesti di casa e trasmettere serenità». “Il Papavero”, comunque, non si ferma qui e i prossimi obiettivi si chiamano “assistenza a domicilio” e, in un futuro più lontano, lo sganciamento dall’ambiente ospedaliero. «In ogni caso - spiega la segretaria Tatiana Wieser - siamo contenti del coinvolgimento popolare che siamo riusciti ad ottenere. E’ importante che anche chi fortunatamente non vive queste situazioni possa conoscere certe realtà››.
 Durante la cerimonia immancabile la presenza delle autorità dall’assessore comunale Mauro Randi al direttore del dipartimento provinciale sanità Florian Zerzer, passando per il direttore di comprensorio Umberto Tait. La fotografia vera di quello che accade in queste corsie, però, arriva da un camice bianco e non dai discorsi ufficiali. E’ il primario Massimo Bernardo ad alzare un muro di serenità su temi che la società ha quasi reso tabù. ‹‹La consapevolezza della morte dovrebbe essere generalmente accettata, invece tende a sconvolgerci nel momento in cui diventa concreta e si avvicina. In quel momento, però, qualcosa si modifica nella persona e noi dobbiamo semplicemente essere bravi a condurre i pazienti e le famiglie in questa fase. La vita è tale dall’inizio alla fine: non si interrompe nel momento in cui si prende coscienza che a breve non ci saremo più››. Dottore, ma come fa un medico a trovare sempre la forza di operare in contesti che appaiono comunque compromessi? «Perché non lavoriamo sulla malattia, ma sulla persona. Appurato il male lo mettiamo da parte e ci concentriamo sul rendere l’ultima parte di vita assolutamente perfetta. Si curano i dolori e si opera perché il paziente si rivolga solamente alle cose che ama fare verso una completa serenità. Nel concreto significa, per esempio, sanare rapporti logorati con i figli, passare molto tempo con chi si ama, dedicarsi alle proprie passioni, sposarsi o stare insieme al proprio animale da compagnia. Periodicamente celebriamo matrimoni e ospitiamo cagnolini: le dirò che negli incontri con i loro padroni ho assistito a scene di un’intensità inimmaginabile».
 Un papà si avvicina e loda tutto il team di Bernardo: «Prima di parlare cercano tutti di ascoltare e capire le tue esigenze. E’ una dote rara, una mano tesa per chi vive attimi non facili. Basta aggrapparsi e loro ci sono».
Alto Adige 23-3-12

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