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domenica 19 febbraio 2012

«Combattere tutte le povertà»


Don Vinicio Albanesi: mi preoccupa anche la stupidità di cui si alimentano le persone 

LUCA STICCOTTI 
Non può avere peli sulla lingua chi da una vita si occupa di poveri ed emarginati. E’ il caso, anche, di don Vinicio Albanesi - da 18 anni responsabile della Comunità di Capodarco e già presidente del Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza, ospite domani lunedì 20 febbraio alle ore 20.30 presso la chiesa bolzanina dei Tre Santi per un incontro pubblico promosso dall’Azione Cattolica diocesana. Il tema affidato a don Vinicio per il suo incontro bolzanino è costituito da una sola parola in grado di far tremare le gambe a tutti, in un periodo di crisi come questo. Si parlerà di “Poveri”, dunque. Poveri come tutte le persone di cui don Albanesi si prende cura da 40 anni a questa parte, ma anche potenzialmente come tutti noi che da qualche tempo ci troviamo in bilico con il rischio permanente d’essere stritolati dall’attuale crisi finanziaria. Con don Vinicio al telefono abbiamo allora pensato di anticipare alcuni degli elementi, di strettissima attualità, che domani sera saranno oggetto di discussione a Bolzano.
 Don Vinicio, chi sono oggi i “poveri” in Italia?
 «Nell’attuale clima di recessione la povertà si fa sentire su diverse categorie di persone. La prima, poco citata, è quella degli anziani. Se gli anziani oggi non dispongono di una cintura familiare solidaristica il rischio di cadere in povertà diventa davvero molto alto. E questo vale anche se i figli ci sono ma sono lontani, oppure per un motivo o per l’altro non riescono a sorreggerli. Dobbiamo tenere conto che la popolazione anziana sta sfiorando oggi in Italia una percentuale del 20-25%. La seconda grande fascia a rischio è quella dei giovani. E’ risaputo, quasi banale: i giovani non hanno futuro, non hanno speranza, per loro il lavoro non c’è. Poi ci sono le famiglie: tutte quelle che si appoggiano su un solo stipendio, magari precario, rischiano anch’esse la povertà. Tra queste sono ancora più a rischio, e si citano poco, quelle composte da persone separate. Se un operaio si separa e deve dare 5/600 euro a moglie e figli, va a finire che ce lo ritroviamo a mangiare alla mensa della Caritas. Nelle famiglie numerose il problema c’è perché i figli costano e oggi vivere in Italia è molto costoso, a prescindere dai risparmi che uno può fare. Per vivere in questa società in definitiva sono necessarie risorse, le alternative sono il dormitorio e la baracca.
 Ci sono poi altri tipi di povertà, meno materiali ma altrettanto drammatici.
 «Sì, non va da dimenticata la povertà che si manifesta nella solitudine, nello smarrimento. Famiglie che non hanno obiettivi, che si disgregano, che non hanno futuro, non riescono a capire i figli, che non danno senso alla vita. E’ un problema generalizzato ed anche culturale: le sceneggiate a cui stiamo assistendo al festival di Sanremo sono lo specchio della stupidità di cui si alimentano le persone. E’ come una specie di boomerang: se le nostre generazioni crescono sulle novità della Belen che mai se ne puoi cavare? Dunque occorre riprendere le fila non solo del benessere materiale ma anche di quello spirituale. Se i ragazzini crescono nel niente, da adulti saranno niente. E oggi non esiste manco più la discussione sulla libertà di pensiero: siamo arrivati ormai ad una vera e propria mancanza di pensiero».
 Qual’è la sua opinione in merito al sistema economico finanziario e l’attuale crisi?
 «La differenza tra ricchi e poveri si allarga. Quello che io vedo è che esiste una fascia di popolazione che in questa fase si garantisce prosperando. Succede sia nell’ambito della gestione della cosa pubblica, dove sprechi e “consulenze” prosperano sempre. Nella nostra società non esiste più lo spirito di servizio. E non vi è un “centro” che possa dire: basta, riequilibriamo il sistema facendo sacrifici per cambiare finalmente direzione. Non abbiamo nessuna garanzia: i correttivi adottati sono solo delle pezze che nessuno sa quanto possano durare».
 Che ne pensa delle polemiche relative all’Ici e alla Chiesa cattolica?
 «Ci sono due aspetti da considerare. Da una parte, guardando il mondo ecclesiale dall’interno, vi è sempre stata una sorta di deregulation per la causa che oggi però non è più sostenibile. Dall’altra esiste senz’altro anche un accanimento anticlericale. Io penso che la Chiesa oggi debba essere trasparente. Non è più possibile trasformare un convento vuoto in un albergo e poi approfittare del mancato pagamento dell’Ici per mandare un po’ più di soldi alle missioni. È proprio questo percorso che ci rimproverano. Molto dipende però in specifico dal “caso romano”. Nella capitale gli immobili ecclesiali si sono moltiplicati a dismisura e la situazione mano a mano è divenuta ingestibile. La conferenza episcopale ha quindi deciso di operare una svolta, nella consapevolezza che a lungo andare certi modalità assunte per la gestione economica dei beni della chiesa finisce per macchiare la gestione spirituale. Tutta la faccenda comunque io la leggo ccome un segnale positivo. Da noi le persone vogliono coerenza e se non sopportano queste trasgressioni questo vuol dire che la fiducia nella Chiesa è ancora alta».
Alto Adige 19-2-12

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