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martedì 12 giugno 2012

IL CAPITALISMO ETICO DELLE COOP


di Marco Zulberti
 «Per la prima volta le prospettive economiche attese per le vite dei nostri figli sembrano peggiori di quelle che abbiamo avuto noi come genitori» con questa frase ha iniziato il suo intervento la professoressa Noreena Hertz dedicato al coop-capitalismo che è stato uno degli interventi più interessanti nell’ultimo Festival dell’Economia di Trento per il suo collegamento con il territorio provinciale. Oggi infatti il pessimismo prevale sull’ottimismo e la sicurezza è minacciata dalla perdita del posto di lavoro.
Perché oggi c’è questa mancanza di speranza? É una mancanza che non ha solo a che vedere con la crisi economica, o con il fatto che siamo in recessione. Il problema è più profondo e deriva dalla crisi del capitalismo di “Gucci”, in cui la gente s’identificava solo con i marchi come Nike o s’indebitava per acquistare una borsa di prestigio. Oggi la mancanza di speranza è in parte dovuta proprio a questa delusione dell’ideologia dei mercati che dovevano auto-regolarsi con le aziende che dovevano erogare i profitti a vantaggio di pochi azionisti. Si aveva un rispetto “religioso”, fideistico del mercato, anche da quella parte di società che si pensava progressista. Il mercato era considerato un meccanismo che potesse garantire l’uguaglianza, la giustizia e la libertà. Ma purtroppo così non è successo e i paesi che hanno accettato il mercato come principio sono diventati al loro interno più diseguali a partire dagli Stati Uniti, alla Gran Bretagna fino all’Italia dove i dieci più italiani ricchi possiedono un reddito che corrisponde ai tre milioni italiani più poveri. L’Italia è forse il paese dove la disuguaglianza è più alta perché c’è stato un periodo in cui forse si è creduto che l’avidità fosse buona. Per questo oggi abbiamo bisogno di pensare a nuova visione del capitalismo che ho chiamato coop-capitalismo che si fonda nelle strutture “open source” e nel movimento cooperativo tradizionale che in Trentino-Alto Adige conoscete molto bene. Questa nuova visione del coop-capitalismo si fonda su tre principi: il primo che la collettività è un concetto positivo e quindi anche quello di uguaglianza che nei momenti di crisi con i programmi di austerità devono essere applicabili non solo alle categorie più deboli, anziani, giovani e malati, perché danneggiano non solo il singolo individuo, ma la stessa coesione sociale, o meglio il capitale sociale che caratterizza le comunità e i territori. Il secondo principio del coop-capitalismo riconosce nel valore nel nostro modo d’interagire con gli altri, nella qualità dei rapporti e delle nostre relazioni è non nelle transazioni commerciali come nel capitalismo di Gucci. Se ognuno si sostiene riusciamo a farci ascoltare e ad ottenere un futuro per tutti. Il terzo principio è la collaborazione che nel mondo cooperativo rende più giusta ed equa la stessa concorrenza. Vi sono società che sono organizzate in modo rigide e altre come la giapponese Toyota dove invece oltre al rapporto di lavoro concorre una sorta di cooperazione tra i dipendenti. Qualche anno fa scoppiò un incendio in un impianto che fu completamente raso al suolo. Le previsioni parlavano di sei mesi per ripristinarlo. Allora sessantadue aziende giapponesi si sono messe insieme e in soli otto giorni hanno condiviso le risorse e anche i lavoratori e aiutato Toyota a rimettere in funzione lo stabilimento. Cooperando e collaborando i costi di produzione scendono e si aumenta l’efficienza e la produttività dell’intero sistema in cui agisce la cooperazione. Il coop-capitalismo così concilia i valori migliori del capitalismo alla “Gucci” come l’innovazione con i valori etici, come la collaborazione del creare insieme tipico dell’essere un territorio una comunità. Quindi l’orizzonte del coop-capitalismo non è un sogno lassù nel cielo, anche perché si vede già all’opera ogni giorno come nel regno della tecnologia della Silicon Valley, in aziende internet come Linkedin o Wikipedia dove la gente collabora gratuitamente e ha creato un qualcosa che è più preciso dell’enciclopedia britannica. La collaborazione ad esempio aiuta a trovare circuiti di scambio alternativi a quello del mercato, simili al baratto ma grazie a internet molto più evolute come modello. In questa fase di crisi le cooperative stanno diventando un modello da prendere come esempio In Canada, Svizzera, Australia, Francia producono milioni di euro di fatturato. Nel Regno Unito la cooperazione ha raggiunto un livello del 21%. Anche in Trentino il sistema cooperativo ha aumentato fatturato e dipendenti dal 2006 ad oggi nonostante la crisi. E’ un modello buono per tutte le fasi economiche? Ha un futuro il modello cooperativo? Sicuramente una modifica della governace del modello capitalismo va attuata con una nuova visione anche per quello cooperativistico che deve andare oltre l’utile e guardare e sorvegliare anche la qualità della vita delle comunità e dei territori. Sicuramente in questa crisi lo strumento di Internet con suoi luoghi d’incontro, i social network, i blog, l’innovazione tecnologica ci sta insegnando che stare insieme e collaborare è un’istanza umana che va al di là del valori monetario. Sicuramente anche in Argentina dopo il default del 2001 l’economia è ripartita grazie alla cooperazione che rimesso in moto le fabbriche abbandonate dai loro proprietari. Collaborare e cooperare aiuta qualsiasi comunità durante i periodi difficili soprattutto nelle aree geografiche più disagiate di cui il Trentino, in quanto territorio montano può essere un esempio. Il coop-capitalismo non è una rivoluzione contro il capitalismo, non lo abbatte, semplicemente lo evolve con un’attenzione alla sostenibilità e all’impiego dei capitali. Il capitalismo deve avere a che fare con la morale come intendeva lo stesso Adam Smith. Le banche della cooperazione ad esempio dovranno essere diverse dalle banche tradizionali, non imitarle come fanno oggi per produrre utili per i loro azionisti, ma servire veramente le comunità e i territori che presidiano.
Marco Zulberti
Alto Adige 12-6-12

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